Era settembre 2023 quando in Italia e in Europa sono cominciati a circolare articoli fotocopia che strillavano “BASTA AI TABLET IN CLASSE”. Ovviamente, allo strillo si sono accodati i NOTABLET (derivazione di NOX dove la X indica la qualsiasi cosa), quelli che basta che ci sia un diniego (non ciurlate nel manico con la storia dell’importanza di dire no; nel caso dei NOX siamo ad un NO patologico, antisistema tout court) che li fa sentire estasiati nell’esaltazione, quasi quanto un “Immediatamente sento il calore della comunità operaia e proletaria, tutte le volte che mi calo il passamontagna” (Toni Negri, Dominio e sabotaggio).
Getti l’osso e tutti gli abbagliatori della rete latrano. Sono passati i tempi della sottile ironia e della pubblicità che vedeva il tablet protagonista in un verso o nell’altro. Uno spot prendeva garbatamente in giro i tablet del colosso americano con sede a Cupertino. E qui era Ikea con la pubblicità del suo bookbook catalogo dove potevi comodamente girare pagina con una mano. Nell’altro spot, il tablet in mano al nonno, o al papà, veniva usato come tagliere, messo in lavastoviglie. A significare e denunciare il “digital divide”. Oggi no, oggi è il tempo delle guerre di religione, delle crociate. Quando a settembre è uscita la notizia che in Svezia avevano bloccato i tablet nelle scuole (che stupidaggine megagalattica per la sua voluta e forzata sintesi operata nei titoli) qui in Italia è stato un fiorire di “ve l’avevo detto che col tablet non si impara nulla”, con un effetto slavina che ha travolto anche ci dovrebbe avere strumenti intellettuali utili al discernimento.
Se al tempo si fosse approfondito il tema, il taglio (non sul tablet-tagliere ma sulla notizia) sarebbe stato diverso e più veritiero. Infatti, su tratta di una necessaria rivalutazione che riguarda per questo “ritorno a carta e penna” gli studenti delle scuole materne. Non per tutti gli studenti svedesi. E questo perché ci si era spinti un po’ avanti con l’introduzione della tecnologia anche nella fascia 0-6.
Un articolo a firma di Carmelina Maurizio, su AgendaDigitale.eu del 6 novembre 2024, analizza la situazione svedese, e non solo, e fornisce i capisaldi per unna informazione, non di pancia, ma ragionata.
Come riportato nell’articolo: “In sintesi, autorità svedesi e psichiatri statunitensi raccomandano per i bambini di età compresa tra i 2 e i 5 anni, l’uso degli schermi di massimo di un’ora al giorno; dai 6 ai 12 anni non superare le due ore di utilizzo giornaliero degli schermi, per gli adolescenti tra i 13 e i 18 anni, il limite indicato sale a tre ore. I limiti si basano su numerosi studi che collegano un uso eccessivo dei dispositivi digitali a problemi di salute, tra cui disturbi del sonno, forme depressive e la riduzione del tempo dedicato ad attività fisiche”.
Ma anche sullo screentime ci sono pareri discordanti, soprattutto perché” Se si considera come unico parametro il tempo di utilizzo, sostengono (gli esperti), è insufficiente per comprendere l’impatto degli schermi sullo sviluppo cognitivo e psicologico. Infatti, le attuali misurazioni dello screentime sono autodichiarate, influenzate da una sovrastima o sottostima dell’uso oggettivo, spesso a causa di sfide legati alla desiderabilità sociale. In secondo luogo, le esperienze digitali differiscono in termini di contenuti, dispositivi utilizzati, contesto, luogo e persone coinvolte”
Anche il FQ, in un breve lancio del 3 settembre di questo anno, sottolinea l’approccio a salvaguardia dei più piccoli. Non che il FQ sia la bibbia per temi scientifici (suvvia l’ossimoro può starci) ma mi preme evidenziare l’articolo che si apre con un “Tenete fuori la tecnologia dalla portata dei bambini al di sotto dei due anni”. Per il resto si rimanda alla lettura e qui estrapolo il senso dell’articolo:
L’Agenzia per la salute pubblica svedese esorta i genitori a non esporre i piccoli agli schermi tv e ai dispositivi elettronici. “Da troppo tempo gli smartphone e altri dispositivi sono diventati onnipresenti nelle vite dei nostri figli”, ha affermato il ministro della salute pubblica svedese Jakob Forssmed.
In generale come in ogni aspetto duale si scontrano, ma devono arrivare a sintesi, due approcci complementari. Interessanti in questo senso le discussioni in seno TES e UNESCO che potete leggere in un articolo uscito su Scuola7, a firma Castrovinci. Si parla tanto della necessità di regolamentare e contemperare esigenze apparentemente diverse ma con l’obiettivo di educare e formare. Un articolo uscito su scuola7, a firma Castrovinci affronta questa necessità illustrando pro e contro. In questo contesto, il Times Education Supplement (TES), una rivista settimanale britannica destinata ai professionisti dell’istruzioni ha condotto un’indagine approfondita sulle potenzialità e criticità delle tecnologie digitali nella didattica esplorando tematiche diverse tra cui il Digital Access Divide (la disparità nell’accesso alle tecnologie tra studenti) e il Digital Design Divide (la capacità degli insegnanti di utilizzare efficacemente gli strumenti tecnologici). Sono tematiche che si intersecano con le raccomandazioni dell’UNESCO e del quadro europeo DigCompEdu 2.0, che enfatizzano entrambe l’importanza di una formazione continua per i docenti e lo sviluppo di politiche che garantiscano un accesso equo alle risorse digitali.
Infatti, se a tecnologia sta rivoluzionando l’educazione, offrendo grandi opportunità ma anche nuove sfide. Pensiamo ai Benefici: Personalizzazione dell’apprendimento, maggiore accessibilità, esperienze più coinvolgenti; alle Sfide: Disuguaglianze nell’accesso, rischi per la privacy, necessità di formazione degli insegnanti; all’Equilibrio: È necessario trovare un equilibrio tra l’innovazione e la regolamentazione per garantire un’educazione equa e sicura per tutti. Le due organizzazioni come TES e UNESCO sottolineano l’importanza di:
- Formazione: Gli insegnanti devono essere preparati a utilizzare le nuove tecnologie in modo efficace.
- Equità: Tutti gli studenti dovrebbero avere accesso alle stesse opportunità tecnologiche.
- Regolamentazione: Sono necessarie regole chiare per proteggere gli studenti e garantire un uso responsabile della tecnologia.
In conclusione, il futuro dell’educazione dipende dalla nostra capacità di sfruttare le potenzialità delle tecnologie digitali, mitigandone i rischi e garantendo un’educazione di qualità per tutti.
La domanda da porsi e su cui interrogarsi: è lo strumento in sé che distrae? È l’uso che se ne fa? Sono i sw e le app a bordo di smartphone che distraggono? Insomma, qui Italia da anni conosco professori “illuminati” che all’ingresso dei ragazzi – liceali – in classe chiedono di spegnere e consegnare il cell (uno, e quello di riserva?). Il problema come sempre non è la costrizione ma l’autorevolezza della figura dell’insegnante e l’empatia che questo suscita.
Non vorrei che una volta limitato, giustamente, l’uso in classe dei cellulari si arrivasse all’assurdo di vietare il “maggiolino verde” alle finestre. E statene certi: anche lì i NOX interverranno, ora mutati geneticamente in NOZAINO, al grido “aridatece i tablet, gli zaini sono troppo pesanti e gravano sullo sviluppo fisico dei nostri figli”.
Per completezza di informazione, qui il sito del governo svedese